Ci scrivo su - Issue #19
Quando arriva il silenzio...
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Dopo una breve fuga nei meandri del silenzio, eccomi di nuovo nella vostra casella di posta. Ci ho pensato tanto a questa newsletter, a quello che avrei voluto raccontare e a quello che avrei voluto scrivere, tracciando i confini di discorsi che a volte raccontano le vostre stesse vite.
Il silenzio, a mia discolpa, è stato dovuto a impegni importanti tanto quanto complessi, che nel corso di questi lunghi mesi mi hanno tolto le forze e qualsiasi voglia di scrittura creativa. Sono sicura che questo silenzio non sia stato assordante per voi; tuttavia, sono anche sicura che oggi leggiate queste righe con piacere, difronte al caffè caldo di una soleggiata domenica mattina.
Come ogni e-mail che vi invio, cerco sempre un piccolo puntino a cui girare intorno, una specie di tema che funga da fil rouge. A questo punto perché non parlare proprio del silenzio? Nel corso dei secoli il silenzio è stato un tema ampiamento trattato da scrittori e filosofi, la maggior parte dei pensatori classici si sono posti il quesito di comprendere cosa fosse il silenzio. Socrate, figura emblematica della filosofia classica, credeva che il silenzio potesse essere un veicolo per la saggezza. Dall'altra parte, i filosofi post-moderni hanno spesso esplorato il silenzio come una risposta alle complessità del mondo contemporaneo. In psicologia, addirittura, il silenzio viene spesso accostato all’attributo “punitivo”, per delineare un abuso emotivo.
In tutti e tre questi casi il silenzio è una forma di comunicazione come quella verbale e come quella non verbale: per Socrate, il silenzio può essere eloquente nel riconoscere i limiti della conoscenza umana e aprirsi all'apprendimento continuo; d'altra parte, i filosofi post-moderni vedono nel silenzio una forma di protesta contro le narrazioni dominanti e un mezzo per sfidare il linguaggio che spesso opprime e categorizza.
Nella quotidianità delle nostre vite, cosa rappresenta il silenzio? In un'epoca dominata dalla costante esposizione mediatica e dalla frenesia della comunicazione digitale, il silenzio può assumere un ruolo complesso… il silenzio così assume un valore più importante: il silenzio di un percorso sofferente, il silenzio di un amore che non si può raccontare, il silenzio di un dolore che è meglio tenersi per sé, il silenzio di una speranza, il silenzio di una superstizione.
Ho conosciuto tutti questi silenzi, per una via o per un’altra. Per il mio dolore o per la sofferenza altrui, ma in tutti questi ci ho sempre trovato una poesia.
Voglio tornare così nelle vostre caselle di posta, con un pensiero fugace e per certi versi silente; con l’angoscia del detto e non detto allo stesso tempo, come qualcosa che è tra le mani e domani potrebbe non esserci più, come qualcosa che sarà solo oggi e mai più. Come il silenzio che ad un certo punto è piombato nelle vostre vite e non l’avete saputo gestire. Come quella cosa che non potevate raccontare a nessuno e dovevate rimanere in silenzio, colpendovi più volte ripetutamente alla pancia per evitare di parlare. Come il silenzio che avete praticato quando la persona difronte a voi parlava di qualcosa a cui non eravate interessati, guardandola con uno sguardo spento, forse anche giudicate.
Il nostro silenzio di questi mesi è stato di passaggio, ma nell’analisi generale delle cose, quanto conta rimanere in silenzio trasmettendo tutto quello che è necessario attraverso gli altri canali?
Buona domenica e buona riflessione, il silenzio talvolta ripaga. Non scordatelo!
Ci sentiamo la prossima domenica!
Vi abbraccio,
Noemi
P.S. RSVP se il vostro silenzio è così assordante che non riuscite a teneerlo dentro. Manterrò il segreto.




